Aprile 24, 2025

L’ETA’ BARBARICA

 

La foto raffigurante descrizione cast età barbarica

 

Inizia con la bella voce di Rufus Wainwright, il film l’Età barbarica. Il cantante canadese compare poco, solo all’inizio ed alla fine del film ad aggiungere un tocco di leggerezza e di simpatia ad una pellicola già di suo molto gradevole. L’Età barbarica, o meglio L’Âge des ténèbres del regista canadese Arcand è una commedia dolce-amara, un viaggio nel “politicamente corretto” dei tempi moderni, a sottolineare la decadenza di un’epoca. Il protagonista Jean Marc Leblanc è un impiegato statale del Quebec addetto all’ufficio reclami ed il film ci conduce in quella che è la quotidianità di quest’uomo: il lavoro, la famiglia, i rapporti con il mondo circostante. Nulla più. Nulla più se non fosse che la ribalta di questa esistenza a tratti banale si svolge su un palcoscenico che è il mondo occidentale del post-2000. Tutto qui sembra perdere di significato, i contenuti dell’esistenza vengono svuotati e pare di assistere al teatro dell’assurdo. Un mondo dove l’individuo sparisce completamente, non per essere sostituito da una collettività viva, ma da un insieme asettico ed insensato. Il lavoro di questo tranquillo impiegato è in realtà un non lavoro e la sua fatica consiste proprio nel reprimere la minima presenza “umana”, lo stesso dicasi della vita famigliare: zero condivisione di affetti e complicità con moglie e figlie, la prima tutta intenta nella sua attività di immobiliarista ed a farsi scopare dal suo principale e le ragazzine inebetite da ipod e giochi elettronici vari. E come fa a tirare avanti una persona che vive in un deserto alienante e talmente censurabile da non chiamare le cose col vero nome? Trova la soluzione più semplice, si rifugia nella fantasia.

Il signor Leblanc, in effetti sogna molto. Sogni ad occhi aperti che rialzino un Io mortificato, sminuzzato, rimpicciolito dall’idiozia circostante che lo ha inguaiato. Sogni di gloria, di successo, di vendetta etc. E, si ha sentore che anche chi è attorno a lui sogni, se così vasta è la partecipazione al torneo cavalleresco che richiama l’antico medioevo. Un medioevo ottuso, dove ci si ricorda con soddisfazione la bestialità umana delle crociate contandola in ettolitri di sangue. Da questo punto di vista pare essere cambiato poco da allora se non la forma, allora ci si lordava con gioia di sangue mentre nelle crociate moderne c’è il pudore di mostrare l’aggressività. Insomma, la proporzione pare essere che la spada sta all’esplosivo come le mani sporche stanno a quelle linde. Ma questa è un’altra storia.Se la valvola di sfogo del nostro protagonista è la quasi compulsiva fuga nel sogno, anche le istituzioni si rendono conto che questo genere di società da loro incentivato può essere opprimente e quindi vanno in aiuto per dare serenità e gioia. Infatti, il signor Leblanc e colleghi vengono spediti a sedute di dinamica motivazionale, dove si insegna a ridere, anzi addirittura a ridere a cascata.

Nel simpatico calderone di questo film non mancano neanche riferimenti a malintese filosofie orientali. Ma al protagonista che vede scorrere i suoi giorni e la sua vita tra la bestialità del traffico caotico, un lavoro insensato ed una famiglia arida che pare essere una mera unità economica non è più sufficiente rifugiarsi nel sogno e tanto meno ridere a cascata o proteggersi dalle energie negative e percezioni yin yang. Ed allora se ne va. Lascia tutto e se ne va in una casa in riva al mare. Non ha un futuro, ma almeno si è liberato del presente. Il film del regista canadese si chiude con la moglie e le figlie che per la prima volta lo guardano, nel senso che lo vedono.

 

error: Content is protected !!